Quest'oggi parlerò di qualcosa di molto particolare, e cioè di uno dei supplizi pubblici più atroci dell'antica Roma: il culleus o poena cullei. Sappiamo bene come la società e la cultura romane, così come quelle di altre, e antiche, civiltà, potessero essere anche molto violente. Dopotutto si pensava che una pena esemplare potesse essere un ottimo deterrente ma, soprattutto, dietro alcuni supplizi particolarmente cruenti vi erano motivazioni religiose molto profonde, tali da poter giustificare tale crudeltà. In cosa consisteva, dunque, la poena cullei?

Era una condanna a morte particolarmente cruda e cruenta, dedicata a coloro che si erano macchiati del peggiore dei delitti: il parricidio, uccisione del proprio padre. Ricordiamo come la figura del pater familias, colui che a tutti gli effetti governava tra le mura domestiche, avendo anche potere di vita e di morte su figli, mogli e schiavi, era anche colui che riconosceva ufficialmente il nascituro, subito dopo la nascita. Se ciò non avveniva, per svariate motivazioni, il bimbo era destinato all'abbandono e, praticamente, a morte certa. Quindi, i figli dovevano tutto al padre, in tutti i sensi, ed ucciderlo equivaleva a non accettare le regole naturali che gli Dei, la società e la natura stessa avevano decretato. Di cosa si componeva il culleus? Al reo di parricidio veniva avvolta completamente testa e volto con pelle di lupo, con ai piedi zoccoli di legno. A lui era proibito ogni tipo di contatto con il mondo, che fosse l'aria o il cielo. Poi, giunto alla sponde del Tevere, era gettato nelle gelide acque del fiume all'interno di un sacco impermeabile, insieme ad animali esotici: una scimmia, una serpe (spesso vipera), un cane ed una gallina. Perché proprio questi animali e non altri? La gallina, per gli antichi, era considerata una bestia particolarmente feroce, capace di spaventare addirittura un leone! Inoltre, celebri erano le sue battaglie contro le vipere, serpi non solo velenose ma anche (come scrisse Plinio), capaci di non aspettare il naturale parto ma di uscire dal corpo della madre sventrandola, impazienti di venire al mondo. Chiaro riferimento al parricidio. Ed il cane? Purtroppo per lui era considerata una bestia immonda, sporca, rozza, logora, senza alcuna dignità. Pensate che ancora oggi, in molte culture, apostrofare qualcuno come un cane rappresenta l'epiteto peggiore. Infine la scimmia che, già dagli antichi, era considerata la caricatura di un essere umano. Immaginate quanto dolore potesse provare il malcapitato: inserito all'interno di questa grande sacca, con l'aria che a poco a poco diminuisce e, soprattutto, con gli animali che, per Natura, si ritrovano a combattere tra di loro, anch'essi preda di furia e terrore. Deve essere un'esperienza semplicemente orribile. 

Il culleus, dopotutto, era una punizione equilbrata rispetto al delitto commesso. Seguendo le parole di Eva Cantarella, esimia studiosa del mondo greco romano, soprattutto dal punto di vista giuridico e culturale, il reo era sì “vivo, ma senza poter respirare l'aria del cielo; gettato in mare, ma in condizioni che non consentivano alle sue ossa di toccare terra; sospinto dalle onde ma non lavato da queste”. Agli occhi degli Dei il parricida si era dimostrato un essere indegno di respirare aria, di toccare la terra o l'acqua. Doveva essere annullato, in parole povere. Orribile davvero, ma pensiamo a come, soprattutto nell'età arcaica e prima repubblicana, questa tortura fosse utilizzata. Anche Cicerone la loda come un bell'espediente trovato dai suoi antenati per punire un crimine, semplicemente, contro Natura...