
Seguendo il mio blog avrete ormai capito come Galleria Borghese a Roma sia un edificio pieno zeppo di opere d'arte eccezionali che, spesso e volentieri, traggono la loro origine da episodio della mitologia greco-romana. Posso citare il meraviglioso Apollo e Dafne del Bernini, o anche alcuni affreschi presenti sulla pareti della seicentesca villa (come in questo caso), che recano tracce indelebili di quanto l'arte attinse alle tradizioni di un tempo. Ma non esistono solo sculture o pitture, poiché in una piccola saletta di Galleria Borghese è facile rimanere incredibilmente sorpresi dalla maestria di artisti, tra cui Marcello Provenzale, capaci di realizzare mosaici incredibili! Quello che vedete in foto è, a tutti gli effetti, un insieme armonioso di piccole tesserine policrome che, inserite ad arte, riescono a creare figure e sfondi incredibili. In questa immagine vedete uno dei mosaici del museo, conseguito proprio dal Provenzale nel 1618, in cui vediamo il celebre Orfeo suonare la sua lira. Vediamo di saperne di più su questo mitologico personaggio.
Con il suo canto ed il suo strumento, secondo diverse versioni del mito, Orfeo sarebbe stato in grado di ammansire le bestie feroci, di controllare gli elementi naturali e, anche, di portare pace nel Regno dei Morti. Celebre è il suo amore per Euridice, la sfortunata giovane che morì a causa del morso di un serpente. Orfeo si distrusse dal dolore ma non si diede per vinto e, anzi, forse mosso dalla sua natura divina (sarebbe figlio di Calliope, Musa del Canto, o addirittura di Apollo stesso, secondo altre fonti), decise di scendere negli Inferi per chiedere di riavere indietro la povera e amata sposa. Alla fine, mossi a compassione dalla sua musica e dal suo canto, Persefone stessa, Regina dell'Oltretomba, acconsentì alla richiesta di Orfeo, ad una sola condizione: il giovane, nell'uscire dall'Averno, non avrebbe dovuto mai, in nessun caso, voltarsi indietro. Altrimenti l'anima di Euridice di sarebbe persa per sempre nelle ombre del Regno dei Morti. Orfeo, però, preoccupato ed innamorato pazzo, quando già vedeva la luce del Sole, a pochi passi dall'uscita, si voltò. E, come ci racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi "temendo [Orfeo] che gli sfuggisse e avido di vederla, lo sposo innamorato rivolse indietro gli occhi e subito quella [Euridice] ripiombò giù: tendendo le braccia e tentando di farsi prendere e di afferrare, l'infelice nulla strinse se non l'aria impalpabile [...] gli rivolse il supremo addio che ormai a stento quello poteva cogliere con le orecchie e precipitò di nuovo nello stesso posto". Orfeo, come potete immaginare, fu distrutto dal dolore poiché, per la seconda volta e questa volta direttamente per colpa sua, perse la sua amata sposa Euridice. Ma non finisce qui perché il mito di Orfeo, purtroppo, finisce anche male. Orfeo era in Tracia e cominciò a rifiutare tutte le sue spasimanti, donne bellissime che volevano a tutti costi il giovane, bello come il Sole! Orfeo, però, fedele alla sua promessa di matrimonio e a Euridice stessa, benché morta, rifiutò tutte le sue pretendenti. Inoltre cominciò ad insegnare ai Traci le virtù dell'amore omosessuale, scevro da ogni altro impegno amoroso e, dal suo punto di vista, da un dolore grande come quello che lui aveva vissuto. Per tali ragioni si fece delle temibili nemiche: le Baccanti, le seguaci del Dio Dioniso. Queste, a sentire la sua voce soave, al sapere del suo rifiuto per l'amore eterosessuale e qualunque tipo di rapporto con altre donne, si scagliarono con violenza contro di lui. Attorno a Orfeo, che suonava infelice la sua lira, vi si raggrupparono animali di ogni sorta, rapiti dal suo canto. Poi, però, avvenne il fattaccio. Sempre Ovidio, infatti, ci narra:"Tutte le armi potevano essere spuntate dal canto, ma un immenso clamore e il flauto berecinzio dalla canna ricurca e i timpani e i battimani coprirono il suono della cetra. Proprio allora i massi rosseggiarono del sangue del vate (Orfeo) che non fu più ascoltato. Dapprima le Menadi (baccanti) fanno a pezzi gli innumerevoli uccelli ancora avvinti del vate (...) e come fanno i cani che azzannano il cervo destinato a morire, di mattino, nell'area di un anfiteatro, così esse assalgono il poeta (...) e si dette il caso che non lontano da lì i buoi arassero la terra traendo il vomere affondatovi e muscolosi contadini zappassero il duro terreno (...) i quali scappano abbandonando gli attrezzi del loro lavoro, sicché per i campi deserti rimasero sparpagliati sarchielli, pesanti rastrelli e lunghe zappe. E, dopo che esse invasate impugnarono quegli arnesi e fecero a pezzi i buoi dalle corna minacciose, ritornano ad assalire il vate che tendeva le mani e che per la prima volta allora pronunciava parole senza efficacia e senza riuscire a smuovere alcunché".
Sicuramente la tragica fine che capitò a Orfeo non la auguriamo a nessuno, pertanto limitiamoci ad ammirare questa pregevole opera d'arte, esposta in una saletta in cui campeggia, tra le altre cose, anche un mosaico raffigurante Paolo V, il papa Borghese che fece fare fortuna alla sua famiglia. Inoltre, guardando attentamente il mosaico relativo a Orfeo e le sue minuscole tesserine, notiamo come il personaggio sia attorniato da diversi animali, con un vulcano fiammeggiante sullo sfondo a ricordarci la sua discesa agli Inferi. Alla sinistra del mosaico, però, abbiamo due animali molto interessanti: un drago e un'aquila. Perché sono curiosi? Perché essi non sono altro che gli elementi araldici della famiglia Borghese. In un modo o nell'altro hanno trovato il modo per fare bella mostra di sé. Dopotutto l'intera galleria d'arte, qui a Roma, è un inno alla ricchezza dei Borghese, no?