
Oggi vorrei scrivere qualcosa a proposito del primo saccheggio subito da Roma, quello realizzato dai Galli Senoni, guidati da Brenno, del 387 a.C. Seguitemi in questo tortuosa narrazione, in cui leggenda e realtà spesso si mischiano, permettendoci dunque di mettere, per davvero, di mettere in dubbio la veridicità delle cose.
Tutto cominciò nel Luglio di quell’anno nei pressi di Allia, un piccolo affluente del Tevere posto a nord dell’Urbe. Incredibilmente, i Romani furono sbaragliati dai Galli. Si era in campo aperto, e da una parte vi erano i disciplinati ed organizzati Romani che combattevano seguendo la tattica greca a falange (almeno secondo le fonti antiche, anche se è un po' difficile crederci), mentre dall’altra parte vi era un’accozzaglia di uomini, privi di una vera strategia militare, che urlavano e ululavano brandendo le loro armi in ferro. Seguendo gli scritti di Tito Livio, che ricordo visse comunque secoli dopo l’accaduto, ed utilizzando anche la nostra immaginazione, possiamo pensare che i Romani persero perché, forse, sottovalutarono il nemico, sorprendendosi della sua reale potenza. Dopotutto era la prima volta che i Galli, dalle loro terre del centro Europa, scesero così tanto a sud da incontrare la giovane comunità di Roma. Forse i Romani rimasero sbalorditi da quegli uomini che combattevano quasi nudi e che, soprattutto, brandivano armi in ottimo ferro (i Galli erano abili nella metallurgia), utilizzando anche dei carri da guerra durante il combattimento. Scrive, infatti, lo storico Tito Livio che "Non appena le grida dei Galli arrivarono alle orecchie dei più vicini di fianco e ai più lontani alle spalle, i Romani, prima ancora di vedere quel nemico mai incontrato in precedenza e senza non dico tentare la lotta, ma addirittura senza far eco al grido di battaglia, si diedero alla fuga integri di forze e illesi. In battaglia non ci furono perdite. Gli uomini delle retrovie furono gli unici ad avere la peggio perché, nella confusione della fuga, si intralciavano a vicenda combattendo gli uni con gli altri". Insomma fu una sorpresa per i Romani, ed una sconfitta relativamente indolore. La ferocia e determinazione dei Galli, unita anche alla loro apparente capacità di trovare delle strategie militari efficienti, il loro essere così diversi da tutto quello a cui i Romani erano abituati, portarono alla bruciante sconfitta per l'Urbe.
Fu così che, giusto il giorno dopo la battaglia di Allia, i Galli guidati da Brenno giunsero a Roma, in vista dei Sette Colli. Razziando e saccheggiando, giunsero infine ai piedi del Campidoglio, baluardo difensivo della città e zona fortificata. I maggiorenti e senatori, nobili e gli ultimi cittadini romani rimasti, convolarono tutti lì, asserragliandosi. Brenno le tentò tutte, anche la sortita notturna (che andò male grazie alle oche sacre a Giunone che, dal loro recinto sacro del tempio dedicato alla Dea, fecero un così gran schiamazzo da avvertire, nottetempo, del tentativo dei Galli di prendere il Campidoglio sotto la luce delle stelle), ma fallì. Per questo trovò un’altra soluzione: prendere per fame Roma. Alla fine i Romani cedettero e trovarono un accordo con Brenno, che pretese, per porre fine al saccheggio, mille libbre d’oro. Quantità esorbitante che i Romani, però, poterono pagare, fino a quando Brenno cominciò a pretendere sempre di più. Come possiamo vedere in questa immagine, Tito Livio ci narra di come il capo dei Galli, non soddisfatto dell’offerta romana, e forse anche per godersi ancor di più la vittoria, cominciò ad aggiungere sempre più oggetti alla bilancia che avrebbe dovuto stabilire il raggiungimento della soglia di 1000 libbre. Soglia che, dunque, andò via via alzandosi, fino a quando Brenno non aggiunse anche la sua pesante spada in ferro. Sarebbe stato in quel momento che qualcuno esclamò Vae victis, e cioè "Guai ai vinti". Locuzione latina che sottolinea lo stato di sottomissione di una comunità nei confronti del nemico, nettamente vittorioso. Infine, però, seguendo sempre la tradizione e le parole scritte da Tito Livio, il generale Furio Camillo, che anni prima sconfisse Veio espugnandola e che poi fu espulso ed esiliato dalla comunità romana, tornò improvvisamente dal suo esilio, a capo di un esercito, riuscendo far fuggire Brenno da Roma. Tito Livio scrive in proposito che "Camillo portò i suoi soldati giù nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano. Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi". La ribalta era cominciata, la vendetta anche. Non dimentichiamoci, però, che queste battaglie ed episodi erano antichi già per gli standard dei romani al tempo di Tito Livio, che scrisse circa quattro secoli dopo gli eventi. Tutto, dunque, è da prendere fortemente con le pinze e con il beneficio del dubbio. Queste sono le cronache così come le conosciamo oggi, grazie alle fonti scritte che abbiamo in nostro possesso. Ma nel prossimo articolo vi farò capire come, spesso e volentieri, tradizione non significhi per forza di cose realtà...