
Quando vado al Museo di Villa Borghese con i turisti consiglio sempre di ammirare non solo le opere d’arte esposte ma anche le sale che, esse stesse con i loro affreschi, sono dei veri e propri gioielli. La sala che ospita il magnifico David del Bernini, per esempio, è definita anche "Sala del Sole" dallo splendido affresco centrale, dipinto da Francesco Caccianiga nella seconda metà del ’700, che ci narra di uno dei miti più sconvolgenti e potenti di tutta la mitologia greco/romana: la caduta di Fetonte.
Costui era un figlio di Apollo che, dopo aver scoperto per bocca della madre chi fosse il suo vero padre, decise con determinazione di recarsi al palazzo celeste del Dio del Sole, per conoscerlo e rivendicare il suo ruolo di figlio. Tenuto infatti fin dalla nascita all’oscuro delle sue vere origini, decide di dimostrare al padre divino di cosa davvero sarebbe stato capace. Arrivato dinanzi al Dio del Sole chiede allora al padre di giurare che gli avrebbe permesso di fare qualunque cosa lui avrebbe richiesto in quel momento. Apollo, ignaro delle vere intenzioni del figlio appena conosciuto, accetta di buon grado. Fetonte, però, peccando di superbia, gli chiede di poter guidare, almeno una volta, il Carro del Sole! Richiesta spropositata che Apollo, vincolato da un giuramento che neanche una divinità poteva spezzare, non può fare altro che assecondare. Sa perfettamente che nessun mortale potrebbe mai far compiere un giro completo al Sole e anche per lui, che ne è custode, non è facile. Ammonisce Fetonte, tenta di fargli cambiare idea, dicendo a quali pericoli andrebbe incontro. Ma nulla, niente lo convince.
Nonostante tutto, allora, Fetonte la mattina successiva parte guidando il carro trainato da quattro cavalli infuocati, che come unico cibo conoscono la divina ambrosia. E subito dopo si accorge di non riuscire minimamente a domarli, perdendo il controllo e generando il caos più totale! Ovidio, ad esempio, narra di come il cielo andò letteralmente a fuoco, che gli Etiopi divennero scuri di pelle per il contatto troppo ravvicinato con il Sole, che andava su e giù per il cielo senza seguire una rotta precisa. Addirittura Ovidio dice che il Nilo, spaventato da cotanto caos, decise di nascondersi impedendo a chiunque di capire da ebbe origine (un modo per giustificare il fatto che all’epoca non si conosceva la sorgente del Nilo). Insomma un vero sfacelo, che Giove portò a termine uccidendo con un fulmine Fetonte ("Ma in quel momento non gli [Giove] servirono nubi per coprire la terra, né pioggia che cadesse dal cielo: tuonò, e librato un fulmino alto sulla destra, lo lanciò contro l'auriga [Fetonte], sbalzandolo dal cocchio e dalla vita, e con la furia del fuoco il fuoco represse"). Un mito potente nelle emozioni, quelle di Apollo che tenta di convincere il figlio dicendogli anche delle paure e della morsa al cuore che lui stesso ha ogni volta che deve domare quei quattro cavalli, così come dell’angoscia provata per la perdita del figlio a causa di Giove. Qualcosa che, alzando gli occhi al cielo dopo aver visto il David del Bernini, potrà esser carpito anche da voi...