
Salendo la Cordonata, la monumentale scalinata realizzata su progetto di Michelangelo che porta verso il Campidoglio, vi troverete ai lati due imponenti gruppi scultorei: entrambi rappresentano due giovani in nudità eroica, con i loro fieri destrieri accanto. I due, inoltre, sono senza ombra di dubbio gemelli, avendo lo stesso identico volto. Chi rappresentano?
Le due statue, probabilmente opere databili attorno al II - III secolo d.C. provenienti dal modello greco del V secolo a.C., rappresentano due divinità molto care ai Romani: Castore e Polluce, i due Dioscuri. Erano considerati protettori dei naviganti nelle tempeste marine e sempre uniti nel compiere le loro gesta. Ognuno di essi, poi, aveva una specificità: Castore era domatore di cavalli, Polluce era valente nel pugilato. Vengono talvolta considerati anche patroni dell’arte poetica, della danza e della musica. I Dioscuri sono stati nel tempo associati alla costellazione dei Gemelli. Se siete di questo segno zodiacale, dunque, ora ne conoscete l’origine! Ma c’è molto di più da narrare, quando si parla dei Dioscuri. Innanzitutto della loro straordinaria e strana nascita. Entrambi, infatti, sarebbero sorti dall’amore tra Leda e Giove, con il Padre degli Dèi che, nell’occasione, si trasformò in un magnifico cigno per ingannare ed ammaliare la giovane Leda. Dalle uova originate da questo strambo amplesso, sarebbero sorti Castore e Polluce. Secondo altre versioni, però, i due gemelli sarebbero figli di Tindaro, leggendario Re di Sparta, avendo addirittura come sorella Elena, la celebre donna il cui rapimento diede origine alla guerra di Troia. La storia di Castore e Polluce, poi, diventa tragica. Dovete sapere che, secondo la tradizione, Polluce era immortale mentre Castore era un semplice mortale. Purtroppo per quest’ultimo sopraggiunse la morte. Il fratello gemello era distrutto dal dolore e tentò di tutto per riportare in vita Castore. Pregò incessantemente gli Dei, fino a che non arrivò al più grande dei sacrifici: Polluce, infatti, rinunciò alla metà della propria immortalità e così ottenne di trascorrere un giorno agli inferi e un giorno presso il padre Giove, così da non dover rinunciare a nessuno dei propri affetti.
Ma a parte il mito, però, i Dioscuri erano divinità molto sentite nella Roma antica, in quanto legati ad una storica vittoria che proiettò l’Urbe verso la conquista di tutta la regione. Siamo nel V secolo a.C., pochi anni dopo la proclamazione della Repubblica. All’epoca Roma non era molto estesa, anzi. A malapena i celebri Sette Colli ospitavano la comunità romana. Per anni i Romani furono alleati dei Latini, una serie di tribù e popolazioni posti soprattutto a sud della città, dove sorgono oggi gli attuali Castelli Romani. A poco a poco, però, i Latini capirono come la presenza di Roma stesse diventando molto ingombrante e pericolosa. Per tale ragione, ed anche a seguito di alcune conquiste militari portate dai Romani (come la presa di Praeneste), i Latini cominciarono davvero a preoccuparsi. Come se non bastasse, poi, Tarquinio il Superbo (l’ultimo Re di Roma cacciato dai Romani stessi a causa del suo essere dittatore e tiranno), si rifugiò a Tusculum dal genero Mamilio. Sarà quest’ultimo a convincere molte delle tribù latine a fondersi assieme in modo da generare una vera e propria lega, così da combattere ed arginare, secondo le loro intenzioni, lo strapotere romano. La battaglia decisiva avvenne nel 496 a.C. in prossimità del Lago Regillo, oggi non più esistente. Probabilmente lo scontro ebbe luogo tra località Finocchio e Ariccia. Si narra che i Romani stessero subendo numerose perdite e che la sconfitta fosse ormai cosa certa. I Latini erano più numerosi e meglio organizzati.
Ma ecco che entrano in gioco i Dioscuri che, a quanto pare, avevano molto a cuore la sorte di Roma. Come ci racconta Dionigi d’Alicarnasso: «Nel corso del combattimento apparvero, tanto al dittatore Postumio quanto ai soldati, due cavalieri di età giovanile, assai superiori a chiunque altro per bellezza e per statura. Essi si posero alla testa della cavalleria romana e, respinto l’attacco dei Latini, li misero in fuga. È fama che quella sera stessa furono visti nel Foro romano due giovani di straordinaria bellezza, in abito militare, che sembravano reduci da un combattimento e portavano cavalli madidi di sudore. Essi abbeverarono gli animali e si lavarono alla sorgente che scaturisce presso il tempio di Vesta... e a quanti domandavano notizie, riferirono dell’andamento e dell’esito della battaglia e della piena vittoria dei Romani; quindi, allontanatisi dal Foro, non furono visti mai più». Ed infatti, a seguito della vittoria, i Romani diedero molti onori ai Dioscuri, erigendo per loro un bellissimo tempio nel Foro Romano, sorto proprio accanto all'area da cui sgorgava la sorgente d'acqua che, poi, venne sacralizzata in onore di Giuturna (andate qui per saperne di più). Ma la fama di questo episodio rimase intatta per secoli: nella Sala dei Capitani nei Musei Capitolini campeggia un magnifico affresco cinquecentesco in cui vediamo rappresentato l’episodio, con Castore e Polluce che, in sella ai loro destrieri, scendono addirittura dal cielo per aiutare Roma. Per tale ragione, spesso, i Dioscuri vennero raffigurati come due splendidi giovani, dai corpi perfetti, tonici e muscolosi, sempre accompagnati dai loro cavalli. Storia e mito che si fondono, come spesso accade a Roma.