
A Palazzo dei Conservatori, una delle due sedi dei Musei Capitolini, vi è la Sala dei Capitani, dedicata ai Principi della Chiesa (soprattutto del XVI e XVII secolo) che combatterono contro i protestanti nel corso delle guerre di religione che all'epoca insanguinarono l'Europa. Suddetti principi erano nobili di alto lignaggio, appartenenti a famiglie altolocate le quali riuscirono a far arrivare al soglio di Pietro loro membri. Per omaggiare tali personaggi, e per rendere ancor più forte il filo rosso che lega la Roma antica con quella rinascimentale, soprattutto qui a Palazzo dei Conservatori, le statue marmoree delle sala rappresentano questi potenti uomini vestiti con una lorica, la classica armatura utilizzata dai romani nel corso dei loro trionfi. Quando vengo qui in tour, con i miei turisti, mi soffermo sempre nel far riflettere come questo filo rosso di cui ho scritto sia imprescindibile, un fattore fondamentale anche per la creazione di bellezze artistiche, di vario genere, che siamo abituati a vedere a Roma.
Non solo, poiché sempre per rafforzare questo legame tra la grandezza della Roma antica e quella dell’epoca l'intera sala fu affrescata, cinquecento anni fa, con pitture riguardanti famosi episodi inerenti l’Urbe e alcuni suoi storici eroi. Tutti gli affreschi hanno a che fare con episodi, momenti e soprattutto uomini che mostrarono, forse, la virtù più importante di un qualunque romano: l’amor di patria. In foto troviamo il "Giudizio di Bruto". Non vi fate ingannare dal nome! Sullo sfondo, i due uomini che camminano sotto quella volta e a ridosso di una scalinata (ricorda la "Scuola di Atene" di Raffaello), sono i primi due consoli della neonata Repubblica di Roma (sorta nel 509 a.C.): Bruto e Collatino. In primo piano vediamo una scena macabra: un cadavere, con il pallore tipico dei morti, decollato e con la testa bene in mostra accanto a sé. Il corpo appartiene al figlio di Bruto, Tullio, che era un convinto repubblicano. Secondo le cronache lui tentò in tutti i modi di far tornare il deposto Tarquinio il Superbo, ultime Re di Roma, sul suo trono. Dunque, in questa fase di transizione tra monarchia e repubblica, il giovane Tullio patteggiò per la prima.
Ma Bruto, il cui nome completo era Lucio Giunio Bruto, era ormai non solo un console, ma una vera speranza per tutti i Romani. Lui era un uomo della Repubblica, e non poteva lasciar impunito quello che, agli occhi di tutti, era un vero e proprio tradimento. Pur triste, ma fiero nei suoi principi e senza versare alcuna lacrima, il console Bruto fece condannare a morte il figlio. Un episodio cardine della storia di Roma, che mostra come l'amor di patria ed il valore della comunità valessero più dei legami familiari. Un episodio che, come scrisse Tito Livio, “sorte volle che esecutore delle pene fosse proprio colui che avrebbe dovuto tenersi lontano da tale spettacolo”. Non dimentichiamoci che tutti questi episodi, quasi mitici già per gli antichi Romani, ci sno tramandati oggi attraverso le opere scritte da storici vissuti secoli dopo i fatti accaduti e narrati, alla fine della Repubblica o nel periodo imperiale. Dunque è sempre tutto da prendere con le pinze, è sempre meglio non prendere completamente per oro colato quanto qui descritto. Nonostante questo, però, la figura di Bruto Capitolino servì, certamente, per risaltare uno dei valori fondanti a cui ogni buon cittadino romano doveva ispirasi: l'amor di patria. E quando la Patria chiama, si deve sempre rispondere…