Tra le sculture più preziose del magnifico Museo di Palazzo Massimo alle Terme, a Roma, troviamo la cosiddetta Niobide, magnifica opera d’arte databile, addirittura, al V secolo a.C. Basterebbe questo  per spingervi a visitare un museo che, a parere di una guida turistica come me, è una vera gemma di Roma. La sua collezione è senza eguali, (come non pensare anche a quella numismatica, davvero incredibile) ed eccovene un esempio... 

Probabilmente questo capolavoro decorava un tempio dedicato ad Apollo, i cui rilievi furono poi portati nell'Urbe da Augusto in persona. Il soggetto di questa plastica opera scultorea in marmo è una Niobide. La giovane ragazza, nuda dalla cinta in su, con dolore prova a togliersi quella che, secondo il mito, è una freccia che le si è conficcata nella schiena, tra le due scapole. Incredibile è il dinamismo dato dallo scultore: le due braccia sono dietro la schiena, in febbrile ricerca dell'arma che ferisce il corpo e l'animo della giovane. Il volto di lei è in parte trasfigurato dal dolore, un dolore personale arrivato però a sorpresa. Il pathos è massimo, così come il dinamismo ed il naturalismo del corpo, con quel panneggio a ricoprirle la gamba destra. Ma adesso, per completare, passiamo al mito in questione: chi è la Niobide? Tutto è incentrato sulla figura di Niobe, donna volubile e madre orgogliosa che ebbe l'ardire di mettersi a confronto con Latona, la madre di Apollo e Diana. Niobe aveva sette figli maschi e sette figlie femmine e non solo affermava che, per numero di figli, lei doveva essere superiore a Latona, ma anche che le sue origini (lei era figlia di Tantalo e di una delle Pleiadi, mentre Latona aveva per padre Ceo, uno sconosciuto Titano) erano più nobili dell'altra. Niobe rinfacciò a Latona anche il fatto di aver avuto difficoltà nel partorire: essendo quest'ultima, infatti, frutto di una relazione adulterina con Giove, Giunone impedì a tutte le terre di ospitarla per permetterle di partorire. Solo dopo lungo vagare, e grazie all'aiuto di Nettuno Dio del Mare e delle Acque, a Latona venne concesso di partorire sull'Isola di Delo, emersa apposta dalle profondità marine per aiutarla. Ovviamente Latona, offesa come non mai, chiese ai suoi due divini figli di aiutarla a lavare l'onta di ciò che ha dovuto subire e sentire.

E subito Apollo si mosse, uccidendo uno ad uno i sette figli maschi. Niobe, però, nonostante la grave perdita, proprio nel corso del funerale e davanti le pire funebri, osò continuare sulla strada della sua superbia, arrivando a dire (così ci tramanda Ovidio nelle sue "Metamorfosi"): "...a me infelice ne restano più che a te [Latona] felice: anche dopo tante morti, sono superiore". E subito Diana, in questo caso, si mise in opera uccidendo una ad una le sette figlie di Niobe. In un crescendo di atroce dolore, molte delle sorelle si accasciano, senza vita, sui corpi dei fratelli già morti. Solo alla fine, quando solo un'unica figlia rimaneva ancora in vita, Niobe si scoprì piena di vergogna e paura, tanto da arrivare a pregare Latona così dicendo: "Una sola, la più piccola, lasciamene: di molte ti chiedo la più piccola - gridava - e una sola". Ma anche quest'ultima perì subito dopo. Un mito terribile che punì il grave peccato di superbia (hybris in greco), che portò alla rovina una donna ed una intera famiglia. Un mito sicuramente toccante che, in forma marmorea, viene qui riproposto in una sala di questo meraviglioso museo il cui nome, tra l'altro, ci ricorda il nome di una famiglia di Roma molto antica che, tra l'altro, possedeva molti altri edifici molto, molto particolari (come potete leggere qui).