
La Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma è celebre per ospitare una serie di importanti reliquie legate indissolubilmente al Cristo. E' un luogo santo, senza ombra di dubbio, ma anche una chiesa interessante dal punto di vista architettonico e artistico. Condurre un tour qui significa fare un viaggio nel tempo e nella spazio, ma soprattutto nella spiritualità e nella fede.
Si immagini che tra le reliquie presenti abbiamo frammenti della cosiddetta Vera Croce, come ad esempio il suo titulus, che secondo la tradizione sarebbero state portate a Roma, agli inizi del IV secolo d.C., da Sant'Elena, l'imperatrice madre di Costantino. Per la prima volta, il viaggio che lei compì in Terra Santa fu narrato da Sant'Ambrogio alla fine del IV secolo, durante l'elogio funebre all'imperatore romano Teodosio. In questo momento si vengono a sapere i dettagli dell'avventura e del pellegrinaggio di Elena che, quasi per caso, scovò il Golgota e la Vera Croce. Secondo la narrazione, ed altre fonti, Sant’Elena ("magna femina" per Sant’Ambrogio), avrebbe ritrovato, alla rinfusa, i pezzi delle tre croci che, il giorno della morte del Signore, svettavano sulla collinetta del Golgota. Secondo Sant’Ambrogio la Vera Croce fu riconosciuta semplicemente per il rinvenimento del titulus, l’iscrizione con cui venne identificato Gesù. Il suddetto titulus, tra le altre cose, per Sant’Ambrogio sarebbe stato volutamente aggiunto, nel corso della crocifissione, proprio per farlo ritrovare dai posteri (volontà divina). Comunque sia si narra che Sant’Elena staccò tre pezzi lignei della Croce ed anche due chiodi, in particolare. Questo che vedete in foto è il reliquiario argenteo dell'Ottocento dove, all'interno, è conservato uno dei chiodi. Ambrogio fu dettagliato riguardo le scelte di Elena, che divise i tre pezzi della Croce depositandoli in luoghi diversi (Roma, Gerusalemme e Costantinopoli), mentre entrambi i chiodi furono donati a suo figlio Costantino. Sant’Ambrogio scrisse “unum ad decorem, alterum ad devotionem vertit”). Uno fu incastonato sulla corona imperiale, a simboleggiare l'aiuto divino e la volontà divina stessa espressa da Costantino con il suo potere ed il suo ruolo. L'altro chiodo, invece, sarebbe stato fissato al morso del cavallo dell'imperatore. Un chiaro monito, per Costantino, a non tirare troppo la corda e a ricordarsi chi è il vero Dio. Il morso del cavallo, infatti, serve a frenare il destriero. Un po' come, metaforicamente, voler frenare un'eventuale ambizione, tutta umana, da parte di Costantino che, investito del potere imperiale ed anche della protezione divina giunta grazie ai ritrovamenti della pia madre, poteva cominciare a sentirsi ben più che un semplice uomo. Detto questo, a prescindere da qualunque fede, le reliquie qui conservate in una splendida stauroteca (da stauros, che significava croce) sono riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Già solo questo elemento d'oro e d'argento, su progetto del celebre Valadier, ci fa comprendere l'importanza di ciò che è contenuto al suo interno.
Tornando invece al cosiddetto titulus crucis è interessante notare come questa tavoletta in legno di noce fu scoperta quasi per caso, durante alcuni lavori di ristrutturazione della chiesa, nel 1492. Fu rinvenuta all'interno di un astuccio piombato che riportava un'iscrizione risalente a papa Lucio II, che visse nel XII secolo. Come è possibile che una reliquia di così grande importanza, quel titolo che lo stesso Pilato avrebbe voluto inserire in tre lingue diverse per ribadire che Gesù fosse crocifisso in quanto si proclamasse Re dei Giudei, sia sparita per secoli senza far parlare più di sè? Anche questo, ovviamente, alimenta e ha alimentato l'eterno dibattito sulla veridicità di certe reliquie. Ribadisco, però, al netto della fede, che è certo come entrare in questa sala della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme possa rappresentare un viaggio affascinante nel passato, nella religione e nelle tradizioni di Roma...