
Nella sala principale del Museo di Palazzo Altemps a Roma è possibile ammirare, oltre al "Galata Suicida" di cui ho già scritto in precedenza (cliccate qui per saperne di più), anche un maestoso sarcofago in marmo di epoca romana, databile attorno al III secolo d.C. Questa opera d’arte, così piena con i suoi rilievi, così ricca di spunti storici ed artistici, è chiamato "Sarcofago Grande Ludovisi", essendo anch’esso uno dei pezzi pregiati della collezione appartenuta all’antica famiglia nobile.
Molte sono le controversie ancora irrisolte, e su cui gli studiosi ancora dibattono. E’ chiaro come la scena rappresentata sia una battaglia, uno scontro senza esclusione di colpi tra Romani e Barbari, chiaramente riconoscibili per alcuni elementi estetici (come la presenza di barba e baffi, tipici dei popoli barbarici) e per la postura. Quest’ultima parola è fondamentale per comprendere l’opera d’arte e, soprattutto, il modo stesso di intendere l’arte da parte dei Romani di un tempo. Tutta la produzione artistica romana, sia privata che pubblica, aveva una spiccata predisposizione propagandistica, diremmo noi oggi. Roma deve sempre essere vista come la vittoriosa, la vincitrice e l’invitta. Roma, anche per emanazione e attraverso il suo esercito, deve sempre sconfiggere i propri nemici, li deve detronizzare. Ed i nemici per eccellenza, i così tanto famosi Barbari, devono sempre essere rappresentati come sconfitti, prossima alla sconfitta, pronti a morire per mano dei Romani o anche per mano propria. Una auto celebrazione di Roma visibile anche attraverso l’atteggiamento dei Barbari, visto ad esempio su questo sarcofago attraverso pose e posture che suggeriscono sconfitta e sottomissione. Che viene trafitto da una lancia, chi viene calpestato da un cavallo, chi giace a terra. E’ facile capire chi vince e chi perde, fondamentalmente. Ma c’è di più in questo straordinario sarcofago! Innanzitutto non sappiamo ancora bene chi, precisamente, siano questi Barbari: a vedere le vesti forse sono dei Goti, ma ancora non ne siamo certi (ed anche questa accezione è abbastanza ampia). Inoltre non sappiamo se qui viene messa in scena una battaglia davvero avvenuta o se, probabilmente, si vuole semplicemente sottolineare la potenza di Roma capace di calpestare ogni nemico. I corpi si aggrovigliano e si accalcano, cavalli e cavalieri quasi fusi e compassati su uno spazio ristretto, uno spazio quasi soffocante. Non vi sono zone libero, tutto è occupato da rilievi in marmo.
Rilievi che, tra le altre cose, per la loro profondità creano un gioco di chiaroscuro davvero eccezionale, tanto da donare un senso di profondità, scusate il gioco di parole, incredibile. Inoltre, come accennato prima, i rilievi vanno a coprire tutto lo spazio, in un horror vacui (letteralmente paura del vuoto), tanto sentito dai Romani e Greci. Una superficie architettonica va completamente ricoperta, poiché nulla deve essere lasciato preda del Vuoto, che per la cosmogonia greco-romana equivale al Caos. Tra tutte le figure, infine, ne spicca una in particolare: al centro vi è un cavaliere con il braccio sinistro alzato, quasi nell’atto di indicare la carica ai propri commilitoni. Sembra quasi il generale, o l’uomo in prima fila che incita i suoi a scavalcare e distruggere il nemico. Questa figura ha, sulla fronte, una specie di X, che forse potrebbe sottolineare l’appartenenza del militare al culto di Mitra, molto celebre e diffuso all’epoca. A parte questa, credo sia facile rimanere basiti dalla bellezza del Grande Sarcofago Ludovisi, che ancora oggi stupisce per i suoi dettagli e la carica emotiva che lascia trasparire.