
Dopo aver descritto cosa ci dicono le fonti antiche, in particolare Tito Livio, sul primo saccheggio subito da Roma nel 387 a.C. ad opera dei Galli Senoni di Brenno (che tra l’altro deriva da una parola gallica che significa Re...), vediamo cosa non torna nella narrazione. In particolar modo, abbiamo un problema di datazione e tempistica, oltre che misteri inerenti un fantastico e meraviglioso tesoro.
Tito Livio narra che Furio Camillo, una volta aver sconfitto i Galli, avrebbe omaggiato le oche del Campidoglio, che avevano salvato Roma, con un nuovo tempio eretto in onore di Giunone Moneta. Ora, sappiamo per certo che tale tempio fu costruito solo nel 345 a.C., 42 anni dopo il saccheggio. Quindi già qui c’è la prima incongruenza. Inoltre, Tito Livio stesso ci narra che Furio Camillo fu a capo dell’esercito romano contro Veio, guerra a più riprese definitivamente terminata con la conquista della città etrusca (grazie ad un tunnel sotterraneo scavato dai Romani che portò direttamente entro le mura cittadine). Tale conquista avvenne nei primissimi anni del IV secolo a.C. diciamo 10 anni prima Brenno ed i Galli. Come è possibile che Furio Camillo, quasi a 80 anni alla fine, riuscì ancora ad essere in grado di erigere un nuovo tempio a Giunone, essendo ancora il capo dell’esercito in così tarda età?
Inoltre, da evidenze archeologiche, si ha la sensazione che i Galli non abbiano apportato grandissimi danni alla città di Roma durante il loro sacco. Innanzitutto Roma non aveva una vera cinta di mura (le prime mura, vere, furono quelle Serviane realizzate proprio dopo questo episodio), ma semplicemente un sistema di fossati a protezione della città, ed il declivio naturale dei Colli. Solo il Campidoglio pareva avere una qualche forma di difesa. Di conseguenza si può ipotizzare che, a prescindere dalla gesta eroiche descritte da Tito Livio, forse i Romani pagarono senza troppo fiatare un tributo, sebbene pesante, a Brenno ed i suoi Galli per lasciare la città! Vi è anche, poi, un mistero sulla fine che ha fatto questo fantomatico tesoro: secondo una versione i Galli, fuggiti a nord (in Toscana), dopo la sconfitta subita ad opera di Furio Camillo), sarebbero stati attaccati da Caere (Cerveteri, città sempre amica di Roma, almeno inizialmente), e che il tesoro fosse stato recuperato. Secondo un’altra fonte, invece, il tesoro fu recuperato da un uomo che sconfisse un capo gallico chiamato Drausus, su in Emilia Romagna. Tale uomo, un romano, si conquistò il diritto di essere chiamato Druso, fondando quella famiglia che vedrà, in seguito, tra i suoi esponenti uomini come Tiberio o Nerone.
Quale è la verità? Come sono andate davvero le cose? L’unica cosa che sappiamo è che i Romani qualcosa impararono da tutto ciò, migliorando l’esercito e costruendo vere mura. Inoltre ebbero, nei secoli a venire, una vera e propria avversione per i Galli, che a più riprese furono anche, brutalmente, trattati con crudeltà dai Romani, più che in altre occasioni con altri popoli. Forse nacque una sorta di paura atavica, uscita fuori, ad esempio, in occasione del famoso discorso tenuto dall'imperatore Claudio in Senato ben quattro secoli dopo questi eventi, ma anche la consapevolezza che Roma, per essere la migliore, doveva fare molto di più...